Il Mondo di Fausto Melotti

Parigi
Galerie Karsten Greve
15 febbraio – 26 aprile 2014

Fausto Melotti è una di quelle figure della storia dell’arte e del pensiero che non si lasciano ridurre a una categoria specifica quale « scultore » o « poeta ». Ingegnere di formazione e artista per vocazione, Melotti attraversa un periodo storico durante il quale, nell’Italia delle innovazioni industriali e dei ricordi di guerra più o meno lontani, l’astrazione verrà riconosciuta soltanto vari decenni dopo le sue prime manifestazioni. La sua scultura che non lavora più sul togliere dal pieno, ma sul far emergere dal vuoto, è l’espressione di una sintesi che evita ogni pesantezza cerebrale e si vuole esplicitamente spirituale.

Il ventesimo secolo ha un anno quando Melotti nasce a Rovereto nei pressi di Trento. Dopo un lungo soggiorno a Firenze, Fausto Melotti si installa a Milano dove ottiene il diploma di ingegnere elettronico nel 1924. Quattro anni più tardi si iscrive all’Accademia di Brera, ancora oggi punto di riferimento assoluto della formazione artistica della regione. Durante questi anni fondamentali da un punto di vista formativo e preludio di un’espressione plastica inedita, Fausto Melotti incontra due grandi personalità che avranno un ruolo cruciale per la sua vita: lo scultore Adolfo Wildt di cui frequenta i corsi a Brera e Lucio Fontana, compagno di studi, con cui nascerà una profonda amicizia. È durante le lezioni di Wildt che Melotti viene iniziato alla ricerca della forma pura, al severo controllo della realizzazione dell’opera e all’abbandono di ogni accidente.

La prima mostra personale di Melotti si tiene nel 1935. L’artista ha all’epoca 34 anni e le opere che espone non suscitano alcun interesse: né quello della cultura né quello del mercato. Le sue sculture risultano troppo spigolose, pregnanti forse ma senza pathos. Nella sua critica dell’esposizione, il futurista Carlo Carrà dirà dell’opera di Melotti che è intelligente ma non è scultura. L’insuccesso porta Melotti a sospendere la produzione artistica e a dedicarsi all’insegnamento. L’artista tornerà a confrontarsi con la scultura e la pittura negli anni ’60, quando la moda per l’astrazione si sarà fatta più solida.

Fausto Melotti si dedica alla ricerca di una geometria che mette da parte ogni rappresentazione figurativa e tende a esprimere un amore puro per la materia, che si tratti di bronzo o di ceramica. Da sempre, l’artista cerca un equilibrio ideale : si progetta nell’universo platonico dando vita a un iperuranio in bronzo, rame o metallo. Sembra inoltre che Melotti, pianista professionista, applichi alle sue sculture le leggi della musica : le composizioni che realizza evocano un’armonia fatta di variazioni, di intervalli e di legati. Non è un caso quindi che i titoli delle opere siano ispirati al lessico musicale: Piccola sequenza, Contrappunto X e ancora più esplicitamente Scala Musicale sono in effetti la rappresentazione plastica di un ritmo sonoro plasmato dall’artista.  uesta componente immateriale riveste un ruolo essenziale nei lavori di Melotti: le sue sono opere fluttuanti, in apparenza fragili ma dalle solide radici metafisiche.

I primi treatrini risalgono agli anni ’40. Si tratta di opere che rivendicano una pratica espressiva fino ad allora considerata arte applicata o arte minore. In queste messe in scena ed evocazioni d’interni architettonici, lo spazio diventa al contempo relativo e infinito, abitato da presenze effimere. Sono narrazioni poetiche composte da una multitudine di materiali, tra cui fili di rame, pezzi di stoffa, catene: sono tutte dei ricordi dell’anima che bisogna guardare da vicino. Melotti crea così un mondo dove non esiste alcuna materia privilegiata per l’arte e in cui l’allegoria è la sola parola possibile. A differenza delle espressioni metafisiche di alcuni contemporanei di Melotti, i piccoli personaggi antropomorfi dei teatrini non hanno nulla di angosciante: i volti muti non mirano a sollevare i baratri dell’inconscio. Non sono altro che figure evocatrici di un momento mai avvenuto.

Assieme alle sculture geometrice e i teatrini, la mostra propone delle opere su carta, spesso studi di sculture. Quasi tutte senza titolo, queste opere progettano l’osservatore in un mondo in cui la realtà non è più che un ricordo lontano e diventa superflua. I disegni e pitture su carta, dalle tonalità varie ma sempre delicate, svelano talvolta il fondo del supporto: questo vuoto non è da considerasi una perdita ma piuttosto uno spazio in quanto tale, che l’artista ci invita a riempire di tempo e di idee.